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Addio a Rolly Marchi, cantore dello Sci

Gustavo Thoeni e Rolly Marchi – Trofeo Topolino 1965

PERSONAGGI. Vogliamo usare una figura retorica che usò lui stesso cinque anni fa per Mario Rigoni Stern: Rolly Marchi, a 92 anni, è uscito di pista, definitivamente spegnendosi “come una candela, fino a mezz’ora prima c’era la luce e poi, all’improvviso, il buio” come ha raccontato questa mattina il figlio Paolo. Giornalista e scrittore, era stato tra i creatori, nel 1957, del Trofeo Topolino di sci alpino. Marchi era nato il 21 maggio del 1921 a Lavis ed era diventato giornalista sportivo alla fine degli anni ’30: famose le sue corrispondenze delle Olimpiadi invernali che ha seguiti ininterrottamente da Garmisch 1936 a Torino 2006 quando ormai aveva 85 anni.

Due anni fa al giornale Alto Adige affidò qualche ricordo della sua vita al bordo delle piste

Lei era un grande amico di Zeno Colò, ma gli eroi del circo bianco, dal Dopoguerra in poi, li ha conosciuti un po’ tutti. Chi era il più forte?  «Se proprio devo dire un nome, vado al 1956 e dico Toni Sailer. A 19 anni ha vinto tre titoli olimpici rifilando distacchi abissali ai suoi avversari. Più che sciare, volava. Un peccato che abbia mollato tutto a 22 anni per buttarsi nel cinema. Del resto, difficile chiedergli di più».

E Tomba?  «Se è diventato quel che è diventato lo deve soprattutto alla tenacia di suo padre. Alberto a 14 anni era uno sciatore normale, bravino, ma niente di più. Suo padre però sentiva che sarebbe diventato un campione e ha insistito, non ha mollato. A 16 anni poi Tomba è esploso e da allora non si è fermato più».

L’emozione più grande vissuta a bordo pista.  «Olimpiadi di Lillehammer, 1994, staffetta maschile di fondo. Centomila tifosi a bordo pista, in 30mila avevano bivaccato all’aperto aspettando la grande sfida. Centomila bandierine norvegesi pronte a sventolare per una vittoria annunciata. E invece abbiamo vinto noi. Ho ancora negl’occhi quel testa a testa incredibile tra Fauner e Daehlie, con Sissio che batte il più grande fondista della storia. E poi quel silenzio. Centomila norvegesi ammutoliti. Non era solo silenzio, era qualcosa di spettrale, come se sullo stadio avessero sganciato un’atomica. Un’emozione indescivibile».

Restiamo al fondo: Grenoble 1968. L’oro al collo di un certo Franco Nones.  «Beh, qui ho qualche titolo di merito da rivendicare. Se non altro quello di avere intuito che quel giorno sarebbe accaduto qualcosa di straordinario. Ero l’unico italiano a bordo pista. Ma proprio l’unico! I giornalisti avevano preferito andare a vedere le prodezze di Jean Claude Killy, e pazienza. Ma non c’era neppure un dirigente del Coni. Zero. Nones è stato in testa dal primo all’ultimo chilometro, una cosa mai vista. Quando ha tagliato il traguardo, dopo 30 chilometri di fatica immane, sono stato il primo a festeggiarlo. Quel giorno però ho capito cos’è lo sport per gli scandinavi».

Perchè, cosa accadde in quella circostanza? «Nones e i dirigenti della nazionale italiana mi invitarono a pranzo, visto che ero stato l’unico a credere nell’impresa.  Eravamo cinque o sei in tutto, non di più. Ad un certo punto sentiamo bussare alla porta della sala da pranzo dell’albergo, che era poi l’albergo della nazionale, e vediamo entrare quattro norvegesi con tanto di divisa ufficiale e un mazzo di fiori. Erano i quattro che fino ad un’ora prima avevano dato filo da torcere a Nones sui binari della 30 km. Dopo la gara erano andati in albergo, si erano fatti la doccia, si erano cambiati ed erano subito venuti, senza perdere tempo. I fiori erano per Nones. Per congratularsi e per tributargli tutti gli onori. Questo è il fondo al Nord: una religione».  

La Federazione Italiana Sport Invernali lo omaggia attraverso il suo stesso racconto della propria vita quando lo scorso anno ricevette il Premio FIS alla carriera.

“Nel 1939 Rolly Marchi aveva fondato a Trento la sua prima società sportiva, il Gruppo Sportivo Cesare Battisti che esiste tuttora, dopo essersi abbinato all’ATA Associazione Trentina Atletica. C’è il suo zampino anche nella nascita della 3-Tre (gennaio 1950), famosa gara di Coppa del mondo di sci, che allora si disputò intorno a Trento (appunto 3-Tre, tre gare a Trento): discesa sulla Paganella, dominata dal fuoriclasse Zeno Colò, slalom a Serrada e slalom gigante sul Monte Bondone, e che ora prosegue a Madonna di Campiglio. Ma Rolly Marchi appena finita la guerra, aveva fondato anche le Scuole di Sci del Monte Bondone (1945-46) e della Paganella (1946-47), luoghi dove organizzava varie gare. Alcune le vinse, il Trofeo Dal Lago sul Bondone e una discesa in Paganella, e ne corse molte altre, come la Direttissima sulla Marmolada e il famoso Hahnenkamm a Kitzbuhel nel 1947. Nel 1945 sul Bondone ebbe un’altra felice idea, proponendo alle Forze Alleate di mandare ogni settimana un centinaio di militari convalescenti o bisognosi di riposo, che così occuparono per oltre due mesi tre alberghi. Con Giuliano Babini, azzurro dello sci, e altri amici, sempre nel 1945 aveva fondato il SAI, Sci Accademico Italiano.

Nel 1958 stimolato da Mike Bongiorno inventò il Trofeo Topolino che in pochi anni diventò la gara per ragazzini più importante del mondo. Ancora oggi vi partecipano giovani di oltre 40 nazioni. Poi creò anche Ausonia Sprint, Mediolanum Boys e Fila Sprint, così come il Gran Premio Saette che rivelò e lanciò Alberto Tomba, Claudia Giordani e Piero Gros.
Nel 1959 promuoveva la prima gara di KL, il Kilometro Lanciato, sul Monte Bianco a Courmayeur, manifestazione diffusasi poi nel mondo intero. Anche il Parallelo di Natale è una sua creatura, prima edizione al Passo del Tonale nel 1974. Nel 1971 fondava lo Sci Club Rolly Go, nome di una linea di indumenti sportivi da lui ideata. Primo socio volle essere lo scrittore Dino Buzzati. Un anno dopo, con il suo amico avvocato Franco de Pilati, organizzava il primo Gigantissimo sulla Marmolada, tipo di gara imitata poi in alcune stazioni delle Alpi.

Mentre frequentava l’università e coltivava le sue diverse passioni sportive, cominciava a scrivere per il quotidiano di Trento e per la rinata storica e autorevole rivista Neve e Ghiaccio. Il direttore Pio Antonio Caliari, Presidente della FISI lo volle con se a St. Moritz per le sue prime Olimpiadi. Dopo la laurea, nel 1950 lasciò Trento per stabilirsi a Milano, chiamato da un amico a fare l’assicuratore. Nello stesso anno Gianni Brera, letto un suo articolo spiritoso pubblicato su un numero unico dell’Università di Pavia, lo invitò alla Gazzetta dello Sport, dove ha scritto fino al 1956 per poi passare, con Brera, al nuovo quotidiano Il Giorno. Ha scritto per Il Giornale, pagina culturale, ed è anche romanticamente tornato alla Gazzetta dello Sport. Per  venti anni ha pubblicato una sua apprezzata rivista semestrale, La Buona Neve. È il solo giornalista al mondo che ha seguito tutti i Giochi Olimpici Invernali dal 1948 fino a Torino 2006. Con quelli estivi ne ha visti e raccontati ben 23 (“non è un vanto, si tratta di anagrafe e di salute” come ebbe a dire anche Indro Montanelli).

Nel 1956 fu Speaker Ufficiale dei Giochi Olimpici di Cortina d’Ampezzo e raccontò in televisione le cronache dei Campionati del Mondo 1958 e di altre gare internazionali. Ha condotto anche due fortunate trasmissioni televisive a puntate “Lo sci è uno sport fantastico” con Zeno Colò e Giuliana Minuzzo e “Invito allo sport” (1965-1966). Buon fotografo (“di classe internazionale” scrisse Dino Buzzati) ha pubblicato libri per Olivetti, Parmalat e altri, dai titoli: Dove lo sci, Messico 68, Azzurrissimo, Sapporo 72, Monaco 72, L’anno dei nostri, e una decina ancora. Ha fatto anche un calendario per Marlboro con dodici sue foto olimpiche, e uno per Montedison. Per alcuni anni fu chiamato “il cow-boy delle nevi”, per il cappellone nero impostogli da Walt Disney ai Giochi Olimpici di Squaw Valley nel 1960. Sua ultima creatura sportiva, contemporanea a Il silenzio delle cicale (giudicato anche dalla critica il suo miglior libro) è una singolare e “affettuosa” gara di sci chiamata 6 Sci – Campionato delle Famiglie, che si disputava ad Andalo-Paganella, la montagna che sovrasta il suo paese di nascita”.

Massimo Brignolo

Manager di una multinazionale, da quasi 50 anni guardo allo sport con gli occhi sognanti dell'eterno ragazzo. Negli ultimi anni, fulminato dall'aria olimpica respirata nella mia Torino, ho narrato lo sport a cinque cerchi, quello che raramente trova spazio nei media tradizionali. Non disdegno divagazioni nel calcio, mettendo da parte l'anima tifosa, che può ancora regalare storie eccezionali da narrare a modo mio.

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