L’Atletica italiana si è confermata a Mosca sugli stessi livelli di due anni fa ai Campionati Mondiali di Daegu, ne parliamo in un altro articolo e sono modesti quindi il mantenimento non può essere motivo di vanto. Erano poche alla partenza le speranze di medaglia, qualcuna vanificata da infortuni che andrebbero comunque analizzati, ma quello che emerge in modo inquietante dall’analisi delle prestazioni azzurre è l’incapacità dei nostri atleti di ottenere il meglio nella competizione che conta, la gara della stagione e per qualcuno, forse, della vita. Focalizziamoci su corse e concorsi – lasciando a parte Maratona e Marcia dove diversa è la frequenza degli impegni -, ai Campionati Mondiali di Mosca abbiamo registrato ventisette presenze/gara. Bene su ventisette presenze/gara ovvero un azzurro impegnato in una specifica distanza, si è registrato un solo primato personale grazie a Matteo Galvan che nelle batterie dei 400 metri è sceso a 45″39 limando il suo personale assoluto e stagionale di ben due decimi.
Concediamo una prova d’appello: il primato personale potrebbe essere lontano ricordo per atleti esperti anche se ben 11 azzurri lo hanno ottenuto nel 2013. Verifichiamo i personali stagionali: oltre al succitato Matteo Galvan, solo quattro atleti sono riusciti a fare meglio di quanto fatto già nella attuale stagione all’aperto: Daniele Meucci in un anonimo 10.000 metri, Gloria Hooper nei 200 metri, l’inossidabile Nicola Vizzoni e la criticata Libania Grenot che il limite stagionale sui 400 metri lo ha abbassato ben due volte passando dal precedente 51.53 al 50.47 delle semifinali attraverso il 51.43 delle batterie. Volendo si può considerare che nello stesso giro di pista Chiara Bazzoni è andata per due volte vicinissima al personale. Il dato è inquietante: in ventuno occasioni su ventisette, 78% dice la calcolatrice, non si è stati in grado di far coincidere la miglior condizione in stagione con l’appuntamento che conta.
Partendo dal presupposto che non si discute l’impegno di nessun atleta, è evidente come i numeri dicano che vi sono dei gravi problemi a livello di programmazione dei periodi di forma in una stagione e di percorso di avvicinamento alle gare. Solo così si possono spiegare controprestazioni come quelle di Giovanni Faloci che quest’anno ha lanciato il Disco dieci volte oltre la fettuccia dei 60 metri, ultima il 28 luglio (tre settimane fa) a 62.56 agli Assoluti di Milano e a Mosca si è fermato a 57.54, di Chiara Rosa ferma a 17.18 dopo aver superato i 18 metri a giugno, di Darya Derkach anonimo 6.16 dopo un mese a cavallo tra giugno e luglio oltre i 6.45, di tempi come il 21.15 di Enrico Demonte nei 200, dei siepisti, di Mariangela Magnani nei 1500, di Jennifer Rockwell nei 400 ostacoli.
Se mancano i talenti, è su questi elementi tecnici che bisogna giocare al 100% per massimizzare le prestazioni: chi programma i picchi di forma annuali? e i percorsi di avvicinamento (si pensi ai 10 km di Agordo di Daniele Meucci il 4 agosto)?