MILANO. A cavallo delle notti delle Pleiadi, le stelle cadono. Anche Rio 2016 conferma che le stelle si infrangono nell’atmosfera rarefatta dei finali, dei fine carriera. Io lavoro, scrivo, leggo, posto, guardo questa Olimpiade e oggi mi viene voglia di scrivere un pensiero. Semplice. Un pensiero che unisce Federica Pellegrini e Alex Schwazer, due stelel cadenti del cielo azzurro. Mi dispiace, avete sbagliato entrambi la via d’uscita.
Federica ha espresso i suoi propositi di addio, salvo poi ritirarli in fretta e furia, con una ieratica foto su Instagram. Era di spalle, guardava il panorama del Villaggio Olimpico. Togliendo per un attimo di torno i trofei e il merito sportivo, ma detto, a mio modesto e quasi inutile avviso, che un fuoriclasse è un fuoriclasse anche quando perde. Bisognava saper perdere per chiudere il cerchio. Invece è tornata a emergere dalle acque una Federica che non discute la sua persona, ma quello che sta attorno. Ecco, trovare un punto di equilibrio fuori dalla propria persona, in questi momenti, non è da fuoriclasse. Certo il finale di carriera, per gli sportivi, è difficile da interpretare. Non così, però, rinunciando ai 100 e scazzando la 4×200. Non così, magari invitata alle curve del ripensamento da un potente sponsor. In quella foto, Federica, doveva guardarci in faccia e raccontarci che la vita è così: si perde anche se si è fatto tutto il possibile per vincere. Invece ha girato le spalle.
Alex, invece, ha fatto peggio. Non ancora libero dalle sue contraddizioni, ha lasciato che lo facessero a brandelli strani interessi, forse più grandi di lui. Lui è e resta un’icona, anche adesso. Un’icona stracciata. Che si è fidata della sua possibilità di riscatto, anche grazie all’apporto di quella bravissima persona che è Sandro Donati. Andando a finir triturato. Il doping è droga, la droga fa patire ricadute, anche mentre si cerca la via per uscirne. Oppure fa restare in quella posizione “pericolosa” di chi è debole ed è, per questo, esposto alla cattiveria degli altri. Dandolo per non perfettamente consapevole, fa detto che più di lui hanno sbagliato coloro che volevano la Redenzione sotto la fiamma. Poteva essercene un’altra, magari meno esposta, magari più modesta. Si sarebbero comunicati, anche con una vittoria sola, pulita, alla 50 km di Pinerolo, i valori del riscatto umano, prima che quello sportivo. Ora restano le ceneri, dalle quali il ragazzo non uscirà. Chi lo voleva morto, sportivamente, ha vinto. Se quello che si voleva mort è proprio lui lo scopriremo tra 20 anni.