Davide Cassani lancia l’allarme. L’ex commissario tecnico della nazionale dal 2014 al 2021 ha tracciato un bilancio del ciclismo italiano lasciando poco spazio alle interpretazioni. A suo avviso, ai giovani manca quel “fuoco sacro” necessario a spingere sui pedali quando la strada si fa in salita, nel senso più pieno del termine.
La notizia del ritiro di Gabriele Benedetti e Mattia Petrucci, due giovani classe 2000, che anche più di qualcosa avrebbero potuto dare al ciclismo italiano, ha generato stupore. Cassani, in questo senso, è stato abbastanza chiaro. “Il ciclismo è uno sport che non dà grandissime soddisfazioni in generale e soprattutto agli inizi. La bicicletta mette il ciclista in costante discussione con sé stesso, e non è una bella cosa che due giovani gettino la spugna”. Una vera e propria fuga dalla vittoria.
Scelte che mettono in discussione, secondo Cassani, anche le scelte e la programmazione di chi è ai vertici di questo sport. “Non si possono chiedere medaglie, non è possibile che l’orto produca pomodori senza aver seminato. Si parla di ragazzi che sono fuggiti non solo dalla passione, ma anche dalla possibilità di trasformare il proprio sport preferito in un lavoro. Credo che questo dipenda da una eccessiva pressione sulle spalle di ragazzi che evidentemente non sono pronti a sopportarla”.
Cassani ritiene che lo sport debba ripartire dal concetto di divertimento. Specialmente una disciplina come il ciclismo, dove la fatica regna sovrana e rischia di prendere il sopravvento. “Lo sport va insegnato a piccole dosi. Quando si ha un ragazzino di talento non basta allenarlo. Occorrono anche altre doti. Quando sono diventato professionista avevo voglia di spaccare il mondo, chi arriva dall’under 23 invece è già prosciugato dall’idea di affrontare corridori più forti. Ho la netta sensazione che i giovani si affaccino al professionismo già “vecchi dentro” esausti nello spirito, logorati dalla pressione. Occorre qualcuno che insegni ciclismo e lo sport.
L’albero resiste al vento, la pianticella invece no. L’abbandono di Benedetti e Petrucci fanno pensare. Ma gli faccio i complimenti per la scelta che hanno fatto. Perché? Perché hanno ascoltato loro stessi e non altre persone. Questi ragazzi andrebbero protetti, seguiti e accompagnati nelle loro scelte. Spero che abbiano fatto quella giusta”. Parole forti, dal retrogusto amaro. La sensazione è che il ciclismo italiano stia per attraversare un periodo molto buio. Dietro Ganna, non si vedono passisti, scalatori, velocisti o elementi capaci perlomeno di imporsi, se non nelle grandi corse a tappe, nelle grandi classiche.
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