DOPING & CO. “Campione radiato”, l’aspetto più squallido dell’intervista delle Jene a Danilo Di Luca che è stata largamente anticipata prima della sua messa in onda è proprio nel sottopancia utilizzato nel video. E’ una ulteriore dimostrazione della ipocrisia nella quale i media italici si cercano di dibattere quando si trovano a dover parlare di problemi scottanti come il doping, soprattutto se riguardano atleti italiani. Nel caso in questione la corretta dicitura nel sottopancia dovrebbe quanto meno leggersi “Ciclista radiato per doping” per ristabilire un minimo di verità. Ma siamo nel paese dove gli organizzatori del Giro d’Italia nella prossima edizione dedicheranno tre traguardi di tappa ad un ciclista i cui valori ematici, e non solo, ampiamente hanno dimostrato il ricorso a pratiche vietate. Tutto, quindi, vale. Domenica su Libero si è celebrato il trentennale del record dell’ora di Francesco Moser con una intervista zerbinata a Francesco Conconi: non una domanda scomoda, non una parola sulle evidenze processuali (sebben cadute per decorrenza dei termini). E che dire della surreale e agghiacciante raffica di domande delle Jene a Di Luca che riportiamo nella trascrizione presentata da Cycling Pro:
Iene: Il doping che ti sei fatto ti ha creato problemi fisici?
Di Luca: No, non dà dei problemi. Innanzitutto il doping non è una droga, quindi non si è dipendenti. Secondo, il doping fatto in maniera corretta non fa male all’organismo.
Iene: Sicuro?
Di Luca: Ha solo vantaggi fisici e basta.
Iene: E se si esagera?
Di Luca: Se si esagera, a lungo andare il farmaco fa male al fisico.
Si tratta della negazione di tutte le evidenze scientifiche sui danni alla salute causati dal ricorso al doping e quello che impressiona, ancora una volta, non sono tanto le risposte insulse del ciclista radiato per doping ma il fatto che, senza alcun contraltare, vengano fatte passare come verità.
Entrando nel merito del racconto di Di Luca si tratta dell’ennesimo caso di ciclista colto sul fatto che per continuare ad apparire in TV o sui giornali, dura la crisi di astinenza da esposizione, fa dichiarazioni (probabilmente, ma in questo caso non ci è dato di sapere, per un cachet) ad effetto senza però aggiungere nulla di nuovo a quanto già saputo. Armstrong docet. E’ ormai stucchevole il ritornello del ricorso a sostanze e pratiche dopanti perchè “così fan tutti”, per fortuna nel mondo dello sport, anche del ciclismo c’è chi ha saputo dire di no pagandola magari con la difficoltà a trovare un contratto o con il completo isolamento.
Giusto per ristabilire un minimo di verità, l’affermazione, di comodo, di Di Luca che “Il doping non cambia i livelli in campo. C’è perché c’è per tutti e uno si adegua, ma se non ci fosse il doping per nessuno i risultati sarebbero sempre gli stessi” è un falso clamoroso. Diverse sono le reazioni di ogni fisico, diverse possono essere le modalità e i piani di assunzione, non esiste alcuna evidenza scientifica, se anche fosse vero che tutti si dopano, che i risultati sarebbero gli stessi se tutti fossero in linea con le regole.
Lo sport non ha bisogno di dichiarazioni inutili di campioni di cartapesta che non aiutano a combattere un terribile cancro, non ha bisogno di finti pentiti che riconoscono come loro errore non l’aver fatto ricorso a sostanze proibite ma di aver sbagliato la tempistica di assunzione, non ha bisogno di mezzi di informazione che fanno da megafono a dichiarazioni vacue che non aiutano a fare luce.