MILANO. Ci ritroviamo a fiamma spenta. I bilanci son fatti e sono da sei e qualcosa, ma non vedere l’evidente problema dello sport italiano è da struzzi, se non da una parola che ha lo stesso suono, ma una consonante e una vocale diversa… Attaccarsi all’icona Zoeggeler, all’estroso Inner Winner o alla bella Carolina (e brava, ma… le mancan sempre mille lire per fare il milione) è il solito esercizio che fa la signora Luisa quando pulisce la polvere sbattendola sotto il bel tappeto. Tutti guardano il tappeto e nessuno lo alza. La politica dello sport resta la nostra classica: facciamo finta che le cose vadano bene, ma se vogliamo fare di più in Corea dovremmo ibernare Armin, clonare la Kostner e darle qualche anno in meno e moltiplicare per tre gli Innerhofer. Ebbene, ci fosse un vattelapesca di qualcuno che dice: rinnoviamo le strutture, aumentiamo i reclutamenti, svecchiamo le nazionali, rifondiamoci. Niente di niente. Va bene così per continuare a conservarsi lo status quo ante. Intanto valiamo il Belgio anche se abbiamo le Alpi, arretriamo di posizione accontentandoci. Invece di rinsaldare le poltrone si dovrebbe costruire meglio su ciò che non va, esaminando bene i problemi di ogni singolo sport. Vorrei, in un mondo perfetto, che ogni presidente di disciplina dicesse: “Bene, che si è vinto? Dove si può migliorare?”. Prevale la logica dell’accontentarsi, accomodarsi, quasi del nascondersi. La verità è da trovare risalendo la china fino alla vetta. Se c’è un premier “ggiovane” che non pronuncia la parola sport in nemmanco un fot… discorso (manco avessi detto in un disegno di legge), allora scendendo si capisce molto….
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