MILANO. L’Italia lo fa in tutti i settori, ma nello sport ci riesce molto bene. Beh, dopo un po’ di giorni d’assenza sparo lì un cinque tondi su una riflessione generica sullo sport nel quale l’Italia è la prima potenza mondiale. Volete sapere di cosa si tratta? Si tratta dello spreco del talento. Già, ogni volta che guardo Howe ci penso allo spreco del talento, a quella operazione di spezzettamento della pepita d’oro (affinché tutti ne guadagnino) che in molti casi e in molti sport porta alla sparizione di prospetti che tutti, ma proprio tutti, pensavano potessero segnare un’epoca. Guardate (senza pensare a qualche sport in particolare) il percorso dei talenti stessi. Sbocciano? Sì, ma quanti? E soprattutto, visto il disastro degli impianti italiani, siete sicuri che abbiano la possibilità di sbocciare. Ok sbocciano, poi diventano interessanti per i genitori frustrati o per gli allenatori che “questo è forte e magari ci faccio carriera”. Si avvicinano manager, si moltiplicano procuratori, ma mancano gli educatori, quelli che seguono le fasi dello sviluppo di un prospetto e le assecondano, le curano nei particolari. Se l’esplosione va a buon fine, poi c’è la macchina del marketing, la seratina giusta, il manager figo, l’aiutino, le starlette o gli starletti, le domande dei giornalisti spesso idiote. Un vero circo Barnum. Ma non c’è nessuno che rifletta, una volta, attorno al fatto che c’è bisogno, per aver talenti, di una struttura e di progetti che prevedano la scoperta e la cura di quei talenti? Italia, nello sport dello sprecar talenti, sei da oro olimpico.