MILANO. Ho visto Malagò. Mi è apparso, bellissimo, a Milano. Portava il sorriso dello sport che va ad autodistruggersi a Sochi fra nemmanco due mesi. Perché faccio il disfattista? Semplice. Il presidentissimo ha messo il fiore all’occhiello dello sport bianco appuntandosi sul bavero il centesimo podio, raggiunto di recente, da Armin Zoeggeler in coppa del mondo di slittino. Beh, lui, Armin, è immenso: ma quanti anni ha? Abbiamo appena fatto un giro d’orizzonte nel settore dello sci nordico e scopro che Giorgio Di Centa, anni 41, porta ancora adesso sul groppone il peso di far qualcosa che renda decente la spedizione azzurra in Russia degli sci piccoli. Che tristezza… Ero a Pragelato quando Giorgio vinse l’Olimpiade. Disse che voleva comprarsi un trattore per fare i suoi lavori, lassù, in Carnia a Paluzza. Era già avanti con gli anni allora, ora ancor di più. Lo sport italiano, da quel giorno a oggi, non è cambiato di una virgola e, a ogni grande evento, ritira fuori i grandi vecchi dal frigo per chiedere loro di essere salvatori della patria. Chiedo all’abbronzato Malagò: “Ma Presidente, nel frattempo l’Italia della neve dov’era?”. Detto in parole poverissime: l’Italia conta sempre sulle stille di energie e di follia che a ogni Olimpiade vengono estratte dalle vene dei totem dello sport, ma non può andare sempre bene. E’ invece delittuoso che in mezzo, tra un’Olimpiade e l’altra, ci sia l’approssimazione, il nulla, il vuoto nel quale si perdono le programmazioni di una possibile crescita delle discipline sportive, vuoto dal quale i grandi come Zoeggeler si estraggono autoconservandosi magari con qualche cavolo di sponsor in più o uno staff di allenatori ad hoc. E gli altri? E la base? E i praticanti? Perchè lo sci nordico dev’essere ridotto così, aggrappato al nonno? Malagò, ci pensi un attimo e ci dia una mano nella sua posizione di Papa dello sport. Trovi i colpevoli di questa mancata programmazione. E chieda loro: “Perché?”