Il libro è giunto in questa primavera alla sua seconda edizione e la tambureggiante cronaca “nera” del doping lo ha costretto ad aggiornare ed integrare la prima stesura. Ne esce per il passato il quadro completo e dettagliato, e Donati va fiero dopo le minacce di non aver ricevuto alcuna querela, di un doping di stato, non in Germania Est o in Cina ma nel Bel Paese. Ma appare anche la spaventosa gravità attuale di un fenomeno. Mesi prima delle perquisizioni di ieri per il caso Schwazer, Donati scriveva qualche mese fa (e ribadiva nelle presentazioni del suo libro): “Alex Schwazer e tutti i suoi colleghi componenti la squadra olimpica italiana, sono arrivati a Londra senza che il CONI garantisse se stesso, le Federazioni, i media e il pubblico dal rischio di portare ai Giochi olimpici atleti sotto trattamento doping. Non mi riferisco a una garanzia totale che, considerate le tante lacune delle analisi anti-doping, nessun test sulle urine può assicurare ma, perlomeno, alla parziale garanzia che può derivare dall’effettuazione di un controllo a sorpresa realizzato con opportune strategie e integrato da un test ematico. La WADA ha fatto qualcosa del genere, controllando una prima volta l’atleta il 13 luglio, a una distanza temporale dalla gara nella quale un atleta di resistenza potrebbe assumere l’eritropoietina e poi, dopo che l’atleta era praticamente certo di non essere ricontrollato, ripetendo il test anti-doping il 30 luglio. Se lo ha fatto la WADA, perché non lo ha fatto il CONI? Non dimentichiamo che la WADA ha il compito di controllare un enorme numero di atleti di diverse nazionalità e specialità, avendo forti limiti organizzativi e di budget, mentre il CONI avrebbe potuto, più semplicemente e concretamente, pianificare in prospettiva olimpica un migliaio di controlli a sorpresa per i circa 280 atleti in predicato di partecipare ai giochi, da ripartire nelle sette-otto settimane precedenti la loro gara. Considerando il bassissimo o quasi nullo rischio doping di alcune specialità sportive sulle quali sarebbe stato sufficiente concentrare pochissimi controlli, si sarebbe potuto disporre, per le restanti specialità, di almeno 3-4 controlli a sorpresa per ciascun atleta. Mille controlli a sorpresa per il CONI non significano la luna, bensì appena un decimo dei test anti-doping che svolge, per conto delle Federazioni sportive, nel corso di ciascun anno. Il caso Schwazer è eclatante poiché, al di là delle dichiarazioni autoreferenziali e di facciata dei dirigenti del CONI e della FIDAL, sbriciola la credibilità anti-doping del sistema sportivo italiano: è evidente a tutti che la WADA si è mossa sulla base di precise informazioni e di tante sospette incongruenze. Informazioni e incongruenze che avrebbero potuto essere raccolte o notate con altrettanta (se non maggiore) facilità dal CONI/NADO, cioè l’Agenzia che il CONI utilizza per organizzare i controlli anti-doping sugli atleti italiani di interesse nazionale e internazionale“. Parole profetiche.
Un libro da sconsigliare a chi, e sono troppi in questo paese, continua a sostenere che a barare sono sempre gli altri e se qualcuno lo fa è per legittima difesa: sono queste le persone per le quali Donati parla “di corresponsabilità del pubblico che, con la propria superficiale e volubile voglia di emozioni, consente ai furbi di continuare a elargire loro, sotto forma di spettacoli sportivi, “oppiacei” di grande effetto“.
E perdonatelo se ci “uccide” qualche falso mito della nostra giovinezza di appassionati.
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