La Maratona di Londra è stata vinta dal keniota Kelvin Kiptum in 2h,01’27”, secondo miglior tempo della storia sui 42,195 km, nonché primato per l’evento britannico. Ma gli occhi, inumiditi dalle lacrime, erano puntati sulla leggenda di Sir Mo Farah che proprio nella capitale del Regno Unito ha scritto l’ultimo capitolo di una storia straordinaria e forse irripetibile. Nono posto nella sua “last race” dopo quattro ori olimpici nei 5000 e nei 10000 e sei titoli mondiali. Il 40enne ha chiuso al nono posto sforzandosi, come ammesso alla BBC, di non piangere durante il percorso. Commovente, del resto, l’affetto ricevuto dalla folla di tifosi.
Quella di Mo Farah è una storia da raccontare e nel senso più pieno del termine, anche perché esula dallo sport. In un documentario alla BBC, l’atleta ha rivelato la sua infanzia durissima. Deportato illegalmente nel Regno Unito da bambino, costretto a lavorare come domestico, è stata la sua nuova famiglia a chiamarlo Mohamed Farah, cancellando Hussein Abdi Kahin. Era arrivato nel Regno Unito a otto anni, atterrato dopo essere stato messo a bordo di un aereo munito di falsa identità e pensando di andare a vivere in Europa con alcuni parenti. Sbarcato oltre manica, inizia il suo calvario. Vive praticamente in regime di schiavitù. Fino a 12 anni è costretto a lavorare. Non va a scuola e quando inizia a frequentarla non riesce a comprendere l’inglese ed è totalmente alienato da ogni forma di rapporto sociale. A salvarlo è il suo insegnante di educazione fisica che intravede qualità innate nella corsa. Dietro il talento, c’è il dramma emotivo: Mo confessa che uscire e correre era la sua valvola di sfogo da una vita durissima.
In pochi anni passa dal marciapiede alla pista con risultati eccezionali. Inizia a eccellere agli Europei di Göteborg, centrando l’argento nel 2006. Nel 2010 si laurea campione continentale sui 10000 metri a Barcellona. I giochi olimpici di Londra lo consegnano alla storia dello sport: vince la medaglia d’oro sia nei 5000 che nei 10000 metri, Prima si era anche confermato ai vertici dei campionati europei nei 5000 ad Helsinki. E poi “sparecchia”: oro nei 5000 e nei 10000 ai mondiali di Mosca nel 2013 e di Pechino nel 2015 inframmezzati dal doppio successo agli Europei di Zurigo del 2014. Nel 2016 bissa il doppio oro di Londra ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro. Nel 2017, ancora a Londra, oro iridato sui 10000 e argento nei 5000. Un nono posto nell’ultima corsa, chiedendo scusa per non aver potuto fare di meglio. Accettate con malinconia. Allo sport mancherà moltissimo questo eterno ragazzo capace di capovolgere il proprio destino, da rifugiato a Sir, correndo più veloce delle avversità.
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