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Nones, il primo re “meridionale” del Fondo

STORIE. Sono trentasette le medaglie d’Oro italiane alle Olimpiadi invernali e Olympialab, seguendo il rintocco del conto alla rovescia verso la Cerimonia di Apertura, vi propone ogni giorno il loro racconto: non pura cronaca ma una lunga storia sul filo dorato di 56 anni di Giochi Olimpici.

 

Nones, il primo re “meridionale” del Fondo

I 30 chilometri percorsi ad Autrans, il 7 febbraio 1968, da Franco Nones non sono che la passerella finale di una corsa contro i luoghi comuni e il cinico destino iniziata dieci prima quando un trentaduenne, ufficiale dell’esercito svedese, Bengt Herman Nilsson, arriva in Italia per occuparsi delle sorti del Fondo azzurro. Diplomato alla scuola superiore di Educazione Fisica di Stoccolma, molti sport praticati nello zaino con il quale sbarca in Italia, lo svedese è un sergente di ferro che impone tempi e metodi di allenamento che sugli sci stretti hanno fatto la fortuna delle squadre nordiche. Non è una transizione indolore; la prima battaglia quando pretende che ci si alleni anche il pomeriggio ma sulla pista non arriva nessun atleta. Vietato il vino a tavola e sostituito da aranciata e latte. E apriti cielo. In un mondo di amatori, Nilsson impone il suo credo; vuole atleti a tempo pieno. Le stagioni si allungano con lunghi collegiali nel profondo nord, il primo in un campus militare svedese, ad allenarsi e gareggiare fianco a fianco con i maestri del Fondo, ad imparare ogni semplice gesto. Cerca costanza, dedizione e responsabilità lo svedese che arriva a chiedere agli atleti di prepararsi personalmente i materiali per non avere alibi di sorta.

Al suo arrivo in Italia trova una pattuglia di belle speranze.e talento che chiede solo di essere guidata verso l’empireo del Fondo: spiccano tra di loro Giulio De Florian che nel 1958 ha 23 anni dopo essere approdato agli sci stretti solo da pochi anni, Marcello De Dorigo che di anni ne ha solo 21 mentre tra gli juniores fa capolino un ragazzo di Castello di Fiemme, nato il 1 febbraio 1941, Franco Nones. Terzo di otto fratelli, un campo da coltivare a casa, da ragazzo si dedica al ciclismo, incrocia le sue ruote con gente dal futuro brillante come Gianni Motta o Dancelli ma realizza che è impossibile avere successo quando ci si può allenare solo quando in valle scompare la neve e ritorna allo sci di fondo trovando il sostegno delle Fiamme Gialle, il gruppo sportivo della Guardia di Finanza, che hanno la loro scuola alpina a Predazzo, una manciata di chilometri da Castello di Fiemme. Nella scuola alpina trova De Florian e De Dorigo e nel 1962 conquista con loro il titolo italiano di Staffetta. Qualche settimana dopo, i Campionati Mondiali nella polacca Zakopane rappresentano il primo test sulla bontà del lavoro svolto da Nilsson che decide di non convocare Nones. L’Italia si scopre competitiva e nella prima gara, la 30 chilometri, dalla tormenta arriva la medaglia di Bronzo di De Florian, terzo a 33 secondi da un mito come il finlandese Maentyranta e a 22 dallo svedese Stefansonn ma davanti a fondisti fino a qualche mese prima considerati inarrivabili come Jernberg o Hamalainen. De Florian è settimo nella 15 mentre nella 50 chilometri vinta da Jernberg il vecio Giuseppe Steiner è ottavo. Nella staffetta l’Italia è quinta a ridosso delle grandi forze nordiche con anni luce di vantaggio sulle altre nazioni europee. Il metodo Nilsson funziona.

Nel 1963 esplode il talento di Marcello De Dorigo che vince la 15 chilometri di Le Brassus dove Nones è quarto e si impone all’attenzione di tutti nelle prove preolimpiche di Seefeld dove si impone nella 15 chilometri ed è secondo nella 30 ponendo una seria ipoteca su una medaglia alle Olimpiadi dell’anno successivo che si svolgeranno sullo stesso tracciato. Oltre ai risultati quello che impressiona è la compattezza della squadra azzurra cementata dai lunghi mesi trascorsi insieme nelle tundre nordiche.

Il destino è cinico e baro e riserva a De Dorigo il primo colpo. Mentre la squadra si prepara, come d’abitudine, in Svezia per la stagione olimpica, in una 30 chilometri a casa del campione Jernberg, l’azzurro esce di pista in una curva e nell’urto contro una pianta oltre alle ferite al viso subisce una gran botta all’anca che lo ferma per qualche settimana. Con Marcello a scartamento ridotto, gli azzurri non sono in grado di ribadire alle Olimpiadi di Innsbruck i progressi raggiunti. De Dorigo è il primo degli italiani nella 30 km ma è solo quattordicesimo, nella 15 km Nones è decimo, la staffetta è quinta, Livio Stuffer è tredicesimo nella 50 km. L’appuntamento con il successo deve essere gioco forza rimandato.

De Dorigo, ormai ventisettenne, deve ancora pagare un carissimo prezzo al destino; una mattina del novembre del 1964, in collegiale nella solita svedese Voldalen, esce in allenamento con Gianfranco Stella e Livio Stuffer mentre Franco Nones, suo compagno di stanza, è poco più avanti, lascia i compagni per ritornare a cambiare i guanti ma non riesce più a raggiungerli avvolto dalla nebbia. Vaga per ore nei boschi senza ritrovare la via mentre il termometro scende fino a -22°. Nella precoce notte nordica partono alla ricerca tutti gli azzurri, i nazionali svedesi presenti a Voldalen, una guida lappone con la motoslitta. I compagni di squadra all’una di notte ritornano in albergo semiassiderati. La motoslitta procede nelle ricerche e lo ritrova alle 8 di mattino, dopo una notte passata sugli sci, perso tra neve e betulle su una pista che portava lontano da Voldalen. E’ ancora vivo ma il congelamento ha colpito i suoi piedi: sei mesi in ospedale a Ostersund, amputate le dita dei piedi, una carriera spezzata.

De Dorigo con le sue doti fisiche eccezionali era la punta di diamante della squadra di Nilsson e il testimone viene raccolto dal suo compagno di stanza e d’armi Franco Nones che nel 1965 batte i nordici a casa loro, una prima assoluta che ha la data del 2 gennaio 1965. Ad Aeldvalen, nella gara di apertura della stagione vi sono tutta la squadra svedese e il norvegese Groenningen ma Nones vince. In un paio di anni vince due volte a Faker, due a Kuopio, una a Rovaniemi, un terzo posto a Lahti, un quarto nella 50 km nel tempio del fondo di Holmenkollen.

Proprio ad Oslo si svolgono i Campionati Mondiali del 1966. Nones è sesto nella 30 km di apertura dove si impone ancora una volta il finlandese Maentyranta ma il capolavoro arriva nella staffetta, vero termometro di un movimento. Giulio De Florian, Franco Nones, Gianfranco Stella e Franco Manfroi conquistano la medaglia di bronzo mettendosi alle spalle gli svedesi.

Inizia la lunga marcia di avvicinamento verso le Olimpiadi di Grenoble del 1968 e solo in Italia nessuno pare accorgersi del potenziale tesoro che si ha tra le mani. Solo Rolly Marchi, che oltre ad essere un grande cantore dello sport ne è anche profondo conoscitore, vaticina un futuro dorato per Franco Nones quando lo vede affermarsi tra gli scandinavi mentre un giornale svedese ha un sentore e titola “Scoppia la bomba italiana”. Il 7 febbraio 1968 ad Autrans la delegazione italiana è assente e i giornalisti si contano sulle dita di una mano: sono tutti ad assistere alla prova cronometrata della Discesa Libera, impegno che non assegna medaglie e dove le ambizioni italiane sono ridotte al lumicino. Il giorno prima Nones e Nilsson decidono di fare una gara di attacco anche perchè l’azzurro sarà il primo a partire delle teste di serie e non avrà punti di riferimento.

“Il percorso era bello e tecnico, con salite ripide e discese, -7º di temperatura: con le scioline si gareggiava alla pari, tutti avevano la verde in punta e in coda, con nel centro un po’ di blu”, racconta Nones, “Avevo dei Kahru di betulla da 2,10, con lamine strette di un legno duro africano, bastoncini di bambù, attacchi larghi 75 mm, pantaloni di gabardine, una maglietta di lana, il numero 26 ed ero il primo delle teste di serie. Maentyranta e Martinsen, dopo di me, sapevano subito i distacchi, io li scoprivo 5 km dopo. C’era Gunnar Hulan Larsson, la speranza svedese, un minuto avanti a me e l’ ho preso dopo 5 km, insieme a Eggen, campione del mondo ‘ 66, partito 30 secondi prima”. Ai sei chilometri il tecnico Nilsson è sorpreso e rimane senza parole, non crede all’ordine di partenza che tiene in mano e pensa di aver sbagliato a rilevare i tempi. Qualche minuto di confusione poi realizza di assistere al coronamento del suo lavoro di dieci anni, corre in un altro punto del percorso e con il suo italiano stentato incita Nones “Franco, tu primo, tu andare, forza Italia, forza Italia!”.

Al decimo chilometro Nones ha trenta secondi di vantaggio su Maentyranta, “34 su Martinsen”, continua il racconto l’azzurro, “dopo 20 km Maentyranta mi era arrivato a 4″, mentre Martinsen restava più o meno alla stessa distanza. Stavo bene e non avevo paura di scoppiare: sentivo che, continuando così, non era possibile che Maentyranta potesse mantenere quell’andatura pazzesca, ancor più esasperata per lui che correva in rimonta. E infatti è andata come pensavo: a 6 km dall’arrivo Maentyranta ha cominciato a perdere colpi e ha finito staccato di 1’17”. Un abisso se si considera la breve distanza che restava ancora da percorrere. Dal modo in cui andavo io era umanamente impossibile che il finlandese riuscisse a recuperare altro tempo e a sorpassarmi, dopo lo sforzo fatto”. Nones continua sul suo ritmo e al traguardo Strumolo, il responsabile per il Fondo della federazione, e il dottor Quarenghi gli saltano addosso urlando “Hai vinto! Hai vinto!”. L’azzurro non ci crede vuole aspettare, “Ma guarda che hai vinto, oramai è sicuro”, gli dicono attorno tutti quelli con una divisa azzurra che gli sono arrivati addosso. Finalmente al traguardo sono arrivati proprio tutti i fondisti in gara, e finalmente viene diramata la notizia ufficiale che Nones ha vinto. Quei lunghi minuti di attesa gli costeranno una tracheite che lo mette fuori dai giochi nella 15 km. Per la prima volta un “meridionale” vince un titolo olimpico nello Sci di Fondo. Nessuno lo può immaginare ma il 7 febbraio 1968 è l’apoteosi della squadra di Nilsson ma allo stesso tempo è il canto del cigno di una splendida generazione.

(4. continua)

Contenuto ceduto in esclusiva dall’agenzia alaNEWS. Riproduzione vietata. Anno 2014.

Massimo Brignolo

Manager di una multinazionale, da quasi 50 anni guardo allo sport con gli occhi sognanti dell'eterno ragazzo. Negli ultimi anni, fulminato dall'aria olimpica respirata nella mia Torino, ho narrato lo sport a cinque cerchi, quello che raramente trova spazio nei media tradizionali. Non disdegno divagazioni nel calcio, mettendo da parte l'anima tifosa, che può ancora regalare storie eccezionali da narrare a modo mio.

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