MILANO. Certo, non viene proprio immediato il fatto di pensare a Leo Messi come un olimpico. Eppure, il 23 agosto del 2008 è stato lui a fornire ad Angel Di Maria il pallone per il gol necessario a diventare campione a Cinque Cerchi. Oggi l’Olimpiade, specialmente quella di Rio, sembra lontanissima da lui e, invece, è vicina, molto vicina. La condanna che il Tribunale di Barcellona ha inflitto a lui e al padre Jorge, di 21 mesi di carcere, è un terremoto che potrà destare vasta eco nel mondo dorato del pallone e della Pulce, uno che gira un miliardino di dollari di fatturato come giro totale d’affari attorno al suo brand. Però infligge anche una ferita pesante sul già disastrato calcio argentino che, nelle ultime ore, ha visto disfarsi la sua Seleccion olimpica per mancanza di calciatori validi e per le dimissioni del ct Tata Martino.
E’ chiaro, infatti, che la Federcalcio di Segura accoglierà con sgomento questa notizia che arriva in mezzo ai suoi peggiori disastri finanziari del dopoguerra. E’ altrettanto chiaro che, al Consiglio Federale straordinario del prossimo 10 luglio, Segura non riuscirà a mettere tutti d’accordo e a tornare sulla sella di una AFA che lo sta disarcionando. Lui, che molto aveva puntato su Messi, non riuscirà a farsi scudo con Messi stesso che si chiuderà a riccio nel suo mondo (non dovrà andare in prigione perché la condanna è inferiore ai 24 mesi) senza volerne più sapere. Lui, Leo, è stato anche un simbolo di Olimpia, quando, 21 enne divenne campione olimpico a Pechino 2008. L’Argentina ha sempre tenuto in alto il livello quando si tratta di vincere il torneo sotto la fiamma che arde. Accade da quasi 100 anni. E adesso? Adesso il numero 21, come i mesi di carcere inflitti a Messi, è un colpo alla base del calcio argentino. Il 18 luglio, ecco l’altro numero, si saprà se muore tutto o meno, se muore il calcio olimpico sotto le sferzate di interessi, di sentenze tributarie, di giochi economici: già, perché fare un torneo monco di una delle nazionali più importanti, non ha senso. Anzi forse è proprio il calcio olimpico che, così, non ha senso. Una volta Messi diceva “sì, vengo”. E vinceva. Ora dicono tutti “No, grazie”. Perfino gli scalzacani. Così è meglio chiudere baracca, ma lo sapremo il 18.