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Olanda e il pattinaggio di velocità: le ragioni di un trionfo

INCHIESTE. E’ stato forse liquidato un po’ troppo velocemente sotto la voce folklore il trionfo dei pattinatori olandesi sull’anello grande dell’Adler Arena: otto ori su dodici assegnati, ventire medaglie conquistata su 36 assegnate. Come per i successi degli uomini degli altipiani nelle prove di mezzofondo dell’Atletica si è un po’ sbrigativamente parlato di predisposizione morfologica e di un popolo che passerebbe l’inverno a pattinare sui canali, ma il grande successo olandese merita di più, merita qualche attenta riflessione per trarne anche insegnamenti per il nostro sport che in qualche disciplina, proprio come il pattinaggio veloce, appare disastrato.

Un fattore può essere stato il fatto che l’Adler Arena è stata costruita ad immagine e somiglianza dell’impianto di Heerenveen, il maggior impianto nei Paesi Bassi, i progettisti di Sochi sono andati in Olanda negli anni scorsi per capire come rendere veloce il ghiaccio e come controllare i flussi d’aria all’interno del Palazzetto. Ma anche questa giustificazione pare limitante.

Iniziamo da un dato di fatto: in Olanda, stato di 41.000 chilometri quadrati poco meno che Lombardia e Piemonte messi insieme,  vi sono attualmente 17 anelli, e almeno due sono in costruzione, per praticare il Pattinaggio di Velocità. Negli Stati Uniti gli ovali sono due, in Italia ve ne sono due, allìaperto con tutto ciò che questo comporta per disponibilità e condizioni atmosferiche, a Baselga di Pinè e a Collalbo. E’ questo però il risultato, non la causa scatenante, del fenomeno.

Dopo il boom di Calgary 1988 con sette medaglie tutte nel Pattinaggio Velocità gli inizi degli anni Novanta hanno portato un momento di riflusso nel movimento che era basato su di una squadra nazionale di sei pattinatori, il kernploeg, che veniva stipendiata dalla Federazione per partecipare a Campionati Mondiali ed Europei, che hanno luogo con la formula del Concorso Generale e quindi premiamo più la regolarità che la specializzazione. La svolta si ha nel 1995 quando il campione del mondo Rintje Ritsma lascia il kernploeg per formare un suo team, nel 1997 lo stesso fa Falko Zandstra, Mosse discusse che portarono a controversie con la Federazione nazionale, alcuni dei team “professionistici” che nacquero furono destinati a vita breve ma l’effervescenza condusse lo sport olandese ad aumentare i fondi a disposizione e a focalizzarsi anche sulla specializzazione.

La creazione di team privati aumentò la base di atleti di alto livello; dal 1995 al 1998, i pattinatori a tempo pieno passarono da 12 a 26. Nel 2006, vi erano 36 pattinatori “professionisti” in sei squadre; quest’anno sono 77 in otto squadre. Una base dalla quale scegliere imponente e uno dei successi di ciò è il fatto che a Sochi non vi sia stata nel team orange la superstar ma ben nove uomini e cinque donne siano saliti sul podio nel trionfo olandese. Una vittoria di squadra dove l’allargamento della base ha consentito che molti si specializzassero su specifiche prove raccogliendo il frutto delle loro scelte.

La “privatizzazione” con le conseguenti sponsorizzazioni dei team è una via che funziona però solo se vi è un mercato interessante. In Olanda negli ultimi 15 anni sono costantemente aumentati i telespettatori che seguono regolarmente il Pattinaggio Velocità e i trials per la definizione della squadra olimpica hanno assunto la stessa importanza e lo stesso livello dei Trials USA nell’Atletica Leggera. Un modello da capire e studiare prima di metterlo nell’album dei ricordi di una Olimpiade.

 

 

 

 

 

 

 

Massimo Brignolo

Manager di una multinazionale, da quasi 50 anni guardo allo sport con gli occhi sognanti dell'eterno ragazzo. Negli ultimi anni, fulminato dall'aria olimpica respirata nella mia Torino, ho narrato lo sport a cinque cerchi, quello che raramente trova spazio nei media tradizionali. Non disdegno divagazioni nel calcio, mettendo da parte l'anima tifosa, che può ancora regalare storie eccezionali da narrare a modo mio.

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