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Perché la Wada ha graziato 23 nuotatori positivi al doping ma non Sinner?

Il caso che coinvolge il tennista numero uno al mondo rimanda a quello degli atleti cinesi assolti dall’Agenzia: i perché di questo cambio di atteggiamento

Il caso di Jannik Sinner e la sua assoluzione dall’accusa di uso di Clostebol ha riacceso il dibattito sulla gestione della lotta al doping da parte della WADA (Agenzia Mondiale Antidoping). La vicenda, che sembrava risolta con la sentenza favorevole a Sinner, ha invece preso una piega inattesa quando la WADA ha deciso di appellarsi al TAS (Tribunale Arbitrale dello Sport), sollevando perplessità e critiche.

La decisione appare tanto più sorprendente se si considera che essa stessa ha riconosciuto che non vi è stato un uso intenzionale o colposo della sostanza da parte del tennista. Nonostante ciò, l’Agenzia ha comunque deciso di portare avanti il ricorso, senza però richiedere la cancellazione dei risultati ottenuti da Sinner nel periodo della positività. Questa apparente incongruenza ha suscitato non poche domande: perché tanto zelo in un caso che sembra privo di dolo, mentre in altre circostanze la WADA ha mostrato un atteggiamento molto più lassista?

Il caso dei nuotatori cinesi

Un esempio significativo di questo approccio è rappresentato dalla gestione del caso dei nuotatori cinesi, emerso nel 2021, in cui ben 28 atleti sono risultati positivi a sostanze proibite durante la preparazione per i Giochi Olimpici di Tokyo. In quel caso, la WADA ha accettato la spiegazione fornita dalla Cina, secondo cui la positività era dovuta a una contaminazione alimentare accidentale. Tuttavia, molti osservatori hanno sollevato dubbi su questa tesi, sottolineando che la sostanza incriminata, la trimidazina, non può essere ingerita accidentalmente tramite cibo, poiché si trova solo in farmaci specifici. Nonostante ciò, la WADA ha chiuso il caso, accettando le spiegazioni cinesi e non adottando misure ulteriori.

Jannik Sinner | ansa epa @John G. Mabanglo

Il confronto tra il caso cinese e quello di Sinner solleva legittime domande sul criterio adottato dalla WADA nel decidere quando e come intervenire con maggiore severità. Nel caso di Sinner, infatti, non si tratta della prima volta che un atleta viene assolto per uso involontario di Clostebol. Nel 2022, il calciatore dell’Atalanta José Luis Palomino è stato assolto per un caso simile, e in quel caso la WADA non ha ritenuto necessario fare ricorso. Analogamente, il tennista Marco Bortolotti, trovato positivo nello stesso anno, è stato assolto senza ulteriori contestazioni da parte dell’Agenzia.

Due pesi e due misure?

Allora, perché insistere tanto nel caso di Sinner? Una possibile spiegazione risiede nel fatto che la WADA si trovi sotto pressione per dimostrare un atteggiamento più rigoroso nella lotta al doping, soprattutto dopo le critiche ricevute per la gestione di casi come quello dei nuotatori cinesi. Fare la “faccia cattiva” contro uno degli atleti più famosi al mondo, come Sinner, potrebbe essere visto come un tentativo di salvare la propria immagine e dimostrare che l’Agenzia non fa favoritismi.

Tuttavia, molti ritengono che questa strategia rischi di compromettere la credibilità stessa della WADA. L’idea di fare giustizia non può piegarsi alle esigenze di “pulizia d’immagine” o alla volontà di rispondere a pressioni politiche o mediatiche. Come sottolineato da molti commentatori, lo zelo nella lotta al doping è lodevole solo quando è accompagnato da equità e coerenza. Diversamente, si rischia di danneggiare la reputazione di atleti innocenti e di minare la fiducia del pubblico nei confronti delle istituzioni sportive.

Andrea Zoccolan

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