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Roma 1994: il ricordo   di un giudice del Fondo

I giudici sul molo di Terracina (Foto: R.Di Cesare)

STORIE. Attraverso YouLab gli autori siete voi. Potete inviarci documenti come testi, video e foto, e raccontare le vostre storie o stimolarci su storie che vorreste fossero raccontate. Rosario De Cesare, un affezionato lettore che ci ha seguito sin dalle prime esperienze da narratori degli sport olimpici, ha risposto al nostro invito e ci ha inviato un contributo molto interessante: il suo racconto dei Campionati Mondiali di Roma 1994 visti da dentro anche se leggendo scopriremo un po’ da lontano.

I Mondiali Fina di Roma 1994 – “Vissuti da dentro, visti da lontano” 

Mentre i colleghi più in vista andavano al Foro Italico per le giurie di Pallanuoto, quelli come me ricevevano la convocazione alla gara di Gran Fondo di S.Felice a Circeo.  Tre gruppi di giudici, da Roma, Salerno e noi da Napoli, radunati in un discreto albergo, vissero subito il momento più elettrizzante dei campionati ossia la consegna della divisa, con tanto di bermuda a quadretti, cappellino, fac-simile della medaglia ma soprattutto il simil swatch con la tartaruga, simbolo dei mondiali, la stessa che portano ancora oggi tatuata quei nazionali di Pallanuoto.

La prima riunione tecnica servì a responsabilizzarci: ci spiegarono che lo scandaloso arbitraggio dei Giochi di Barcellona era nato da una vendetta, causa una precedente squalifica di un giudice italiano ad un atleta cubano, sfruttata in Spagna affidando la finale ad un fischietto cubano. Allora mi colpì molto, oggi non ci crederei ma riconosco che ha funzionato.

In TV passavano le immagini di gigantesche e sconosciute nuotatrici cinesi che annientavano record ed avversarie, della Dalla Valle che proprio non trovava eredi in acqua al passare dei suoi lustri, ed un intero movimento trainato dal solo Settebello.  Tra scherzi notturni, tradimenti e pettegolezzi, macchiette napoletane che si godevano la vacanza, arrivò anche il giorno della gara: 25 km da Terracina a S.Felice a Circeo con ogni giudice affidato ad un atleta, da seguire dalla goletta, e con quelli più fortunati, che guardavano il passaggio di tutti dalle boe: fortuna di non dover vagare per ore in mare ascoltando le incitazioni degli allenatori.  Tutti assieme passarono rapidamente alla mia prima boa, tranne i due albanesi che sulla barca non avevano l’allenatore, che l’acqua gliela doveva passare il giudice, e che passarono già in forte ritardo destinati al ritiro: le battutine su quei rari nantes ed il loro paese in disarmo, fu la  più insopportabile ironia di quei giorni.

Passati tutti gli atleti andai al traguardo dove, sulle note dell’inno di Baglioni (acqua nell’acqua), vidi arrivare i primi fondisti dei quali ricordo meglio l’arrivo di un italiano, tra i primi dieci, che dopo aver toccato svenne dalla fatica proprio mentre sopraggiungeva la prima delle donne, un’australiana con spalle portentose, che gioì senza ombra di fatica.  Alla fine del triste monologo cinese, ma anche della vittoria della bella Franciska, la Vigarani conquistò la medaglia della bandiera, in attesa dell’ultima notte romana, dove Fiorillo, Campagna, Silipo ed il divo Ferretti, che dominava i poster del basso Lazio, realizzavano il piccolo miracolo sportivo che ancora una volta riusciva ad entrare nelle menti degli italiani, almeno per un giorno.

Rosario De Cesare

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Redazione Olympialab

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