Sin dal 2007, momento della scelta di Sochi, i Giochi Olimpici sono diventati “il progetto personale” di Vladimir Putin, “un progetto ambizioso quanto meno per la vicinanza con il Caucaso settentrionale, area del più grave conflitto in essere in Europa”. Secondo Sokirianskia, “la realtà dietro la facciata delle pubbliche relazioni è molto differente” a partire dal virtuale stato di emergenza introdotto sin da agosto a Sochi con l’impiego di 40.000 rappresentanti delle forze dell’ordine accompagnati dall’esercito per cercare di evitare i minacciati attacchi terroristici dei separatisti ceceni dei quali Olympialab a già parlato mesi fa. Dopo le minacce di luglio, a fine ottobre un attacco suicida ha ucciso 6 persone e ferito 33 passaggeri di un bus esploso a Volgograd e nel corso del 2013 si possono contare 31 atti di terrorismo nell’area.
Il governo del Dagestan negli ultimi anno si è lentamente mosso nella direzione della soluzione politica delle profonde divisioni che sconvolgono l’area ma, secondo l’editoriale, una ondata di repressione ha invertito la tendenza negli ultimi mesi con processi sommari ed esecuzioni di sospetti terroristi e militanti. Nella vicina Inguscezia, il presidente ha annunciato che le case dei rivoltosi saranno demolite, lo stesso Putin ha invitato la Duma russa a legiferare in modo che le famiglie dei terroristi siano considerate responsabili dei danni alle vittime, legge entrata in vigore poche settimane fa.
E’ ancora possibile, conclude Ekaterina Sokirianskaia, che le massicce misure di sicurezza consentano una tranquilla Olimpiade ma i danni causati dalla repressione in Caucaso saranno irreparabili. Dopo Sochi, “sarà difficile, se non impossibile, ricostruire la fiducia e continuare il processo di reintegrazione dei rivoltosi anche se politicamente si decidesse di ritornare su questa strada”.
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