Stephen Curry diventa un film e si racconta: ha sempre sentito il rumore dei detrattori, il costante controllo sulla sua statura e ha deciso di farne un mantra: “Underdogs. Il sottovalutato”. Stesso titolo del docufilm in cui una delle più grandi star della NBA condivide la storia dei suoi inizi nel basket e di come i dubbi alla fine abbiano finito per alimentare la sua voglia di diventare uno dei più grandi giocatori di sempre.
La lotta al pregiudizio
Curry, in una intervista al riguardo del lancio della serie (visibile su Apple tv) ha spiegato che la sua carriera sia stata una costante lotta al pregiudizio. Essere costantemente sotto osservazione però gli ha dato degli stimoli. “Essere sottovalutati e sottodimensionati a un certo punto e in un certo senso permette di cambiare la prospettiva di vita”. Curry ha iniziato a pensare che, applicandosi, si possa diventare giocatori migliori, a dispetto di fisicità e statura. Il cestista era consapevole delle sue qualità, ha combattuto per un po’ contro i pregiudizi e infine è scattato il famoso “clic” quando ha trasformato la voglia di dimostrare la sua bravura in una sfida personale. E ha così sviluppato una maniacale attenzione nel lavoro che lo ha accompagnato per tutta la carriera.
Campione in campo e nello studio
Anni dopo, è tutto diverso. Curry è stato due volte MVP delle finali NBA e quattro volte campione NBA ed è diventato uno dei volti più importanti negli sport professionistici. Nel maggio dello scorso anno, ha completato il suo Bachelor of Arts in sociologia alla Davidson e ha conseguito il diploma. Apprezza ancora tutto ciò che ha imparato al college. Riflettere sui ricordi di quelle stagioni speciali ha significato molto per il 35enne Curry, che adesso si augura di poter aiutare gli altri condividendo la propria storia. Spera di motivare chiunque, nello sport o nella vita di tutti i giorni, è stato o si è sentito trascurato o vittima di pregiudizi nel perseguire i propri traguardi. Lo afferma lo stesso cestista in una intervista: “In tanti mi hanno posto sempre la solita domanda chiedendo perché avessi deciso di essere protagonista di questo docufilm. E la risposta è stata sempre la stessa: voglio ispirare persone di tutti i diversi ceti sociali, non necessariamente amanti o praticanti del basket, a inseguire i loro traguardi. Questo racconto è un qualcosa che può essere applicabile alla vita di tutti i giorni e a chiunque a prescindere da razza, religione ed estrazione sociale”.