Jonas Vingegaard ha messo le mani sul Tour de France. Nella tappa più temuta, la numero 17 da Saint-Gervais Mont-Blanc a Couchevel, il danese ha brutalizzato la corsa, lasciando andare la fuga di Gall concentrandosi su Pogacar uscito dal confronto diretto con le ossa rotte: sloveno staccato di 6’. E adesso la vittoria è un miraggio. Tadej si ritrova a 7’38 dalla maglia gialla che ormai deve solo gestire il vantaggio in questi ultimi giorni. Parigi è davvero vicina, come il bis al Tour. Un risultato straordinario per un personaggio davvero da raccontare.
Jonas Vingegaard arriva dalla Danimarca, non esattamente un paese di grande tradizione ciclistica ma, e non a caso, terra delle favole. Quella di Jonas inizia nei porti: conosciuto come il “pescatore”, lavorava in una fabbrica dove si inscatolava il pesce per mantenersi e potersi dedicare alla sua grane passione: la bici. L’altra è il Liverpool, di cui è tifosissimo. È sulle due ruote, però, che dà il meglio, complice un giro della Danimarca che transita provvidenzialmente sotto casa. Da allora, si è dedicato solo al ciclismo.
La vera svolta della carriera arriva nel 2018, quando un giovanissimo Jonas conosce la direttrice marketing della sua squadra, Trine Hansen, donna di 32 anni, undici più di lui. E pensare che, per stessa ammissione della futura signora Vingegaard, Jonas non è stato degnato neanche di uno sguardo. Tuttavia non si è perso d’animo e ha insistito così tanto sino a che non è riuscito a conquistarla e, poco dopo, a mettere su famiglia. Nel 2020, dopo la nascita di Frida, scatta qualcosa: i numeri e le doti erano fuori discussione, bastava solo metterli in strada. E Vingegaard inizia a farsi notare vincendo una tappa dell’UAE Tour superando Pogacar e vincendo due tappe e la generale della Coppi Bartali. È l’inizio di una ascesa irrefrenabile e straordinaria.
Nell’inverno antecedente la vittoria al Tour, Vingegaard ha comprato casa e si è scoperto particolarmente portato per il bricolage. Ama raccontare come sia riuscito a costruirsi da solo la cucina, ma non a scrollarsi di dosso una timidezza di base che, di fatto, ha portato la Jumbo a tacere del suo ruolo di capitano lo scorso anno proprio per non mettergli troppa pressione. Adesso però, raggiunta la piena maturità, conserva la nomea di “ragazzo d’oro” ma ha anche preso piena coscienza delle sue straordinarie capacità. E i risultati lo dimostrano.
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